Mortal Kombat: Un brand che ha superato il medium – editoriale

Dintorni di Chicago, 1991: dall’ingegno di Ed Boon e la penna di John Tobias inizia a scaturire quella scintilla creativa che, in breve tempo, avrebbe gettato le fondamenta dell’intramontabile brand di Mortal Kombat. La discussione infuria nei corridoi degli uffici di Midway Games: la natura dell’opera continua a mutare per forma e dimensioni e non è chiaro se il prodotto debba configurarsi come fighting game o prendere una deriva più action, magari con l’apporto della figura di Jean Claude Van Damme. La collaborazione finisce per saltare, e il team di soli quattro elementi decide che è giunto il momento di riscrivere completamente le regole del genere picchiaduro.

Oggi, Mortal Kombat figura tra i media franchise più redditizi di tutti i tempi e, attenzione, non stiamo parlando del solo ecosistema videoludico, ma di tutti i media franchise, compresi i giganti di Hollywood e i mostri sacri dell’editoria internazionale. Il marchio, ora proprietà di Warner Bros, ha fatto capolino in tutte le declinazioni delle arti espressive, superando rapidamente i confini del videogioco per approdare infine nelle sale cinematografiche, nelle edicole, in televisione e addirittura tra le hit discografiche in cima alle classifiche.

Torniamo per un attimo nella sala riunioni di Midway Games Chicago, al momento in cui il nome Mortal Kombat apparve per la prima volta sui documenti della preproduzione: la formula stava iniziando a trovare la sua identità, un’identità che non sarebbe mai cambiata nel corso del ventennio successivo. Boon odiava le meccaniche di stordimento che interrompevano il ritmo della battaglia, così decise di inserirle alla fine del combattimento e di condire il tutto con una spettacolare serie di finishing moves: era l’alba di quelle leggendarie Fatality che, assieme agli attacchi ‘magici’, spinsero il progetto verso una seducente dimensione oscura.

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