Dietro il Videogioco: La storia di Hideo Kojima

La regione di Kansai, in Giappone, è il centro storico e culturale per eccellenza del paese. Bagnata dall’Oceano Pacifico, è nota per le prelibatezze figlie della tradizione culinaria, che spaziano dalla celebre carne wagyū fino ai tesori del sakè, custoditi con amore ai margini della pianura di Osaka. Proprio in questa terra, nei primi anni ’70, uno dei più grandi game designer di tutti i tempi trascorreva le lunghe serate casalinghe assieme al resto della famiglia, consumando uno dietro l’altro i grandi prodotti della cinematografia occidentale: a nessuno dei tre piccoli Kojima, infatti, era consentito andare a letto prima della fine delle pellicole.

Nato nel 1963 a Setagaya, quartiere residenziale di Tokyo, il giovane Hideo Kojima aveva trascorso parte della sua infanzia a Osaka, poco prima di trasferirsi al di fuori della grande città; qui dovette provvedere a sé stesso fin dalla prima adolescenza, avendo perso il padre all’età di 13 anni e trovandosi spesso solo durante i pomeriggi che seguivano l’attività scolastica. La morte del padre aveva portato un sostanziale abbassamento delle possibilità economiche della famiglia, pertanto il ragazzo fu spinto, specialmente dallo zio, ad intraprendere un percorso di studi economici, lasciando da parte le velleità creative e quell’attività registica che di volta in volta riaffiorava con prepotenza fra le sue passioni.

La cultura giapponese è storicamente pressante nell’ambito della normativa sociale: tantissimi giovani sono indotti dal parentado a percorrere il sentiero della sicurezza economica, passando attraverso le discipline tecniche e assicurandosi un posto stabile nel mondo del lavoro. Non deve stupire, di conseguenza, come tutti i conoscenti di Kojima abbiano più volte tentato di sottrarlo dal mondo delle arti. Allora poco importava, perché non c’era verso di porre un freno al vulcanico immaginario di Hideo, che fin dai primi anni universitari scriveva una quantità impressionante di racconti originali, provando ad inviarli alle riviste per ottenere una pubblicazione che non arrivava mai.

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